February 22, 2024

LA RIFORMA DELL’ARTICOLO 9 COMPIE DUE ANNI

Presso la Biblioteca del Senato della Repubblica “Giovanni Spadolini” in Roma si è tenuto  stamane un interessante convegno, organizzato da LAV,  nel corso del quale è stato fatto il punto dello stato dell’arte riferibile al riformato articolo 9 della Costituzione e, più in particolare, sulla disposizione per cui “La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali”. Cosa ha voluto dirci il legislatore costituzionale con questa disposizione?

L’occasione è stata la presentazione della ricerca “La tutela degli animali nel nuovo articolo 9 della Costituzione” pubblicata sulla rivista federalismi.it e curata da Università di Milano-Bicocca, Dipartimento di Giurisprudenza. Certo, nel mondo del diritto due anni  non sono nulla. Ne abbiamo attesi 74 perché venisse implementato uno dei dodici principi fondamentali e dunque dobbiamo solo augurarci che non ne servano almeno la metà per vedere attuata questa riforma. Non si tratta una previsione provocatoriamente polemica quanto invece di una forma di doverosa cautela verso quelle che sono le norme manifesto. Cautela giustificata da quelle che sono le attuali evidenze, sia nazionali che sovranazionali che, andando oltre il testo, inducono a ritenere assai viva la convinzione di mantenere ferme e inattaccabili quelle tradizioni culturali alle quali -come cozze agli scogli- sono ben saldi importanti interessi economici.

La ricerca condotta da Università Bicocca ha inteso rispondere ad una domanda che già si poneva sin dai primi vagiti della riforma. Solo una norma primaria può decidere come tutelare gli animali facendo quindi diventare incostituzionale qualsiasi norma secondaria che volesse porsi questo obiettivo? E’intuitiva l’ambizione di questa domanda. E’ di assoluta rilevanza la risposta che rimane una risposta aperta oscillando da una posizione più rigida  che ne sottolinea la riserva di legge (si dice: laddove il Parlamento prenda sul serio la riforma nulla vieterebbe al legislatore regionale di adattare a livello locale quello che viene deciso livello nazionale) verso una interpretazione non letterale della disposizione che ne esclude una funzione distributiva del potere normativo (viene messa in discussione propria l’istituto della riserva di legge). Quale che sia l’interpretazione di maggiore pregio (credo che vi siano punti di contatto) laddove l’applicazione delle norme oggi esistenti dovesse rimanere del tutto immutata -e dunque priva di evoluzione interpretativa alla luce del nuovo articolo 9 e di quello che è stato definito il nuovo “principio animalista”- vorrà dire che la riforma è stata e rimarrà  solo una riforma simbolica. Perché non lo sia (solo simbolica) è stata sottolineata la  necessaria educazione al rispetto che dovrà formarsi non tanto (o non solo) nelle aule dei tribunali ma in quelle delle scuole (università comprese) sfruttando quella legge sulla educazione civica approvata nel 2019 e forse poco “sfruttata”. Il solo inasprimento delle pene (è cominciato l’iter presso la Commissione Giustizia delle proposte di riforma del codice penale e di procedura penale)  non può considerarsi la soluzione ad ogni malvagità.

Se è vero che la riforma dell’art. 9 non ha contemplato il riconoscimento della soggettività giuridica in capo agli animali è altresì innegabile che questa categoria giuridica (la soggettività appunto) non rappresenti un requisito ontologico degli umani  dovendo invece riempirsi, proprio alla luce di questa riforma costituzionale, di tutela e responsabilità di cure e protezione in favore degli animali. Svuotandosi, di conseguenza, del principio per cui l’umano è unico essere (dominante) del creato. Viene fatto notare, e la cosa desta una certa impressione, che è diventato non oltremodo differibile prendere posizione sul riconoscimento della soggettività in capo agli animali. Non farlo potrebbe condurci ad un tempo, non lontano, nel quale si parlerà di soggettività in capo ai robot negandosi in capo agli animali.