September 10, 2021

ACQUA NEL CARBURANTE E DIRITTO AL RISARCIMENTO

Hai fatto benzina, pagato, e sei ripartito. Dopo qualche metro o chilometro la tua auto si ferma, quindi si spegne e tu incominci a imprecare. Non arriverai mai a quell’appuntamento così importante, atteso magari da giorni. Devi chiamare il soccorso stradale. La diagnosi è impietosa: acqua nel carburante. Danno stimato? Importante. Molto importante. Che diritti abbiamo se ci veniamo a trovare in queste situazioni? E se li abbiamo a chi dobbiamo chiedere il ristoro dei danni subiti?

Perché Il carburante risulta annacquato? Poche le alternative. Partiamo da quella più maligna. Il gestore della stazione di servizio ha fatto il furbetto. La più benigna: non è stata aspirata l’acqua dal pozzetto vicino alle pompe di benzina, che probabilmente si è accumulata anche in occasione delle abbondanti piogge dei giorni precedenti. Oppure non è stata fatta idonea  manutenzione. Oppure la sfortuna ci ha visto benissimo e in quella quantità di benzina o gasolio era presente una percentuale maligna di acqua.

Una volta a individuata la più verosimile causa all’origine del blocco del motore dobbiamo avere l’accortezza di richiedere una dichiarazione scritta a cura di chi ha riparato il mezzo, con chiara specificazione dei motivi dell’avaria. Ancora prima dobbiamo raccogliere ogni più idonea prova di avere fatto rifornimento, in quel giorno e a quell’ora, presso quella determinata stazione di servizio. Se ho pagato con carta di credito o bancomat ho assolto al mio nere probatorio. Se ho pagato in contanti e magari non ho ritirato la ricevuta o questa non è stata emessa, devo rincorrere ad un testimone. Preziosa sarà la testimonianza del soccorso stradale che potrà dichiarare che il veicolo si è fermato nelle vicinanze di una certa stazione di servizio. Raccolte la prova del rifornimento presso quel distributore e accertata la causa del danno, andrà formulata una richiesta di risarcimento a mezzo lettera raccomandata a.r.. da inviare sia alla stazione di servizio che alla società petrolifera di riferimento. Opportuno inviarla comunque entro due mesi da quando si è avuta la diagnosi esatta del danno.

Se la società che gestisce la stazione di servizio non riesce a dimostrare la colpa dell’automobilista (inchiodato magari dalle videocamere di sorveglianza dalle quali si evince un errore dello tesso nel rifornimento) come anche una ipotesi di caso fortuito o forza maggiore (improvvisa e inondazione di proporzioni bibliche che ha interessato la stazione di servizio coinvolta), deve risarcire il danno a mezzo della propria compagnia di assicurazione alla quale andrà anche trasmessa la relativa richiesta di danni. Qualora non lo facesse spontaneamente, rimane la via del giudizio civile e considerata l’opportunità di procedervi, commisurata alla entità del danno subito, occorre   considerare l’assolvimento dell’onere probatorio che incombe sull’automobilista nei termini che ci vengono ricordati  nella sentenza della Corte di Appello civile  di Napoli, la  n. 2877/2021.

Tizio fa rifornimento di carburante (gasolio) il quale risulterà annaquato. Seguono danni importanti al motore dell’auto di Tizio il quale chiama in causa la società che gestisce la stazione di servizio chiedendone la condanna al pagamento della complessiva somma di 15.980,00 € a titolo di risarcimento per aver subito danni patrimoniali e non.

Si costituisce  in giudizio la  società  convenuta  che ovviamente chiama  in causa l’Eni, nei cui confronti svolge una domanda di garanzia quale fornitore del gasolio venduto e dunque quindi unica responsabile di eventuali anomalie presenti nel prodotto petrolifero durante la fase di produzione e di rifornimento.

Il Tribunale rigetta la domanda di risarcimento avanzata dall’automobilista. La consulenza tecnica d’ufficio espletata pur ritenendo possibile una compatibilità tra l’avaria presentata dall’autovettura e la presenza di acqua nel gasolio non ha potuto escludere che tale avaria fosse stata generata da altra causa né accertare l’effettiva provenienza e quantità di acqua  riscontrato nel serbatoio dell’automobile in questione. L’automobilista ricorre in appello ma l’esito è infausto poichè vede confermato il rigetto della propria domanda. Vediamo perché.

L’automobilista dunque ha richiesto il risarcimento del danno che assume conseguente all'acquisto del gasolio contenente acqua frammista al carburante. Giuridicamente egli ha proposto un'azione di responsabilità contrattuale. Quanto all’onere probatorio delle sue ragioni l’automobilista avrebbe dovuto fornire la prova che il gasolio acquistato era frammisto ad acqua e che l'acqua trovata nel serbatoio dell’autoveicolo di esso automobilista  provenisse proprio dai rifornimenti di carburante effettuati presso quel distributore convenuto in giudizio. Ebbene, la Corte di Appello conformemente a quanto affermato dal Tribunale quale primo giudice, ritiene che detta prova non sia stata affatto fornita. In particolare nel giudizio avanti il Tribunale un testimone (dipendente della società che effettuava la manutenzione dell’impianto di distribuzione dei carburanti gestito dalla società chiamata in causa) aveva dichiarato che all’esito della verifica dell’impianto aveva accertato l’assenza di acqua all’interno dei serbatoi e che nei filtri dell’erogatore non c’era traccia d’acqua.E così altri testimoni escussi avevano avuto modo di accertare la mancata presenza di acqua nei serbatoi. Le testimonianze, convergenti tra di loro, non consentirebbero di nutrire alcun dubbio sulla relativa attendibilità perché precise e circostanziate; in particolare quella di un teste che aveva offerto un contributo notevole sulla genuinità del prodotto distribuito avendo eseguito personalmente un controllo qualche giorno dopo i fatti denunciati dall’automobilista (teste peraltro non è legato da alcun rapporto di dipendenze con nessuna delle due società chiamate in giudizio).

In buona sostanza per il giudice di appello la parte convenuta ha provato di aver effettuato i dovuti controlli non appena ricevute le lamentele dell’attore e di non aver riscontrato presenza di acqua nel serbatoio di gasolio di cui era dotata, oltre ad aver dimostrato di possedere sistemi di allarme funzionanti per segnalare proprio l’eventuale presenza di acqua.

Ma il colpo ancora più decisivo inferto alle aspettative dell’automobilina è l’avere sottolineato il giudice di appello che proprio l’automobilista avrebbe dovuto dimostrare che il gasolio acquistato era frammisto ad acqua e che l'acqua trovata nel serbatoio dell’autoveicolo provenisse proprio dai rifornimenti di carburante effettuati presso la convenuta.  Prova che la Corte ritiene non sia stata affatto fornita trattandosi di   circostanze che, a parere del giudice di primo grado, non sono mai state provate con certezza.

La Corte di Appello napoletana invero aggrava la posizione del povero automobilista scrivendo in sentenza che la prova di avere subito il danno poteva essere sostenuta e raggiunta con attività che lo stesso automobilista pur potendolo, non ha posto in essere: un accertamento tecnico preventivo, il prelievo di campioni di gasolio inquinati,  l’acquisizione dei filmati di videosorveglianza.

I testimoni di parte attrice, oggi appellante, di fatto, non sono riusciti a far emergere in modo chiaro ed incontrovertibile la prova del nesso di causalità tra l’evento dannoso e l’avvenuto rifornimento. In buona sostanza da queste testimonianze certamente risulta che  il danno si è effettivamente verificato  mancando però la prova certa dell’origine e della causa di un tale danno.  Quindi della responsabilità della società citata in giudizio. Peraltro, anche la ricostruzione dei fatti fornita dall’appellante secondo cui l’autovettura ha percorso circa 350 km tra il rifornimento e l’arresto appare inverosimile come confermato anche dal c.t.u. che, difatti, ha ritenuto possibile la marcia dell’autovettura con le anomalie denunciate dall’attore, ma, “con percorrenza limitata, nell’ipotesi di presenza nel carburante di acqua in percentuale sensibilmente superiore ai valori ammissibili”.

In conclusione la corte afferma come il quadro probatorio complessivamente considerato non consenta di accogliere la pretesa attorea e di leggere la sentenza impugnata come frutto di un’erronea valutazione del materiale probatorio.


Segue il rigetto dell’appello.