July 13, 2024

AGGRESSIONE DI UN CANE IN AMBITO LAVORATIVO DOMESTICO

Il cane di Tizio aggredisce Caia, quest’ultima alle dipendenze di Tizio e intenta a svolgere mansioni domestiche all’interno dell’abitazione di quello.  Caia, che rimane ferita proprio a causa dell’aggressione, chiede la condanna  di Tizio al risarcimento dei  danni subiti.  E lo fa appellandosi all’art. 2052 del codice civile. Una scelta corretta sotto il profilo processuale dal momento che l’onere probatorio gravante su di essa è certamente più lieve rispetto a quello di Tizio la cui unica via di uscita è quella di fornire la prova del c.d. caso fortuito (la responsabilità di cui all’articolo richiamato è una responsabilità oggettiva). Un onere probatorio certamente più gestibile (se confrontato con quello di cui all’art. 2043 c.c. ) ma che impone comunque a Caia la dimostrazione del nesso causale tra l’azione del cane e il danno subito. ,La mancata dimostrazione di tanto pregiudica  alla radice la propria domanda risarcitoria.

Ciò premesso,  nel caso in commento Caia non solo non fornisce la prova di essere caduta dalle scale a causa dell’aggressione del cane ma questa circostanza viene finanche smentita dall'unico teste a suo favore. La Cassazione (sentenza civ. n. 30519/2019)  confermando il duplice rigetto della domanda (primo e  secondo grado)  individua una rilevante diversità tra la narrazione del fatto da parte dell'unico teste e quella invece proposta da Caia, diversità che rende poco chiara la dinamica dell’incidente e che non può che condurre, come si è anticipato,  ad un giudizio di insufficienza probatoria che rende superflua una verifica dell’esistenza del caso fortuito eventualmente eccepito dal danneggiante.

Sono interessanti alcune considerazioni che vengo altresì svolte dalla Corte. La prima riguarda l’interrogatorio formale del danneggiante che non avrebbe reso alcuna risposta in questa circostanza così da significare, a dire del danneggiato, una sorta di confessione. Per la Cassazione non vi è sarebbe automatismo tra mancata risposta all’interrogatorio e confessione.  Vi è invece la facoltà del Giudice di ritenere come ammessi i fatti dedotti con tale mezzo istruttorio dovendo però necessariamente valutare ogni altro elemento di prova.

La seconda considerazione riguarda l’argomentazione di Caia (danneggiata) per la quale in primo grado avrebbe evidenziato una responsabilità di Tizio (quale suo  datore di lavoro) alternativa a quella di cui all’art. 2052 cc. . Argomentazione ritenuta priva di pregio dal giudice di appello perché comunque svolta per la prima volta in secondo grado.  Ebbene la Cassazione con la sentenza in commento è categorica nel ritenere che Caia non abbia dimostrato di avere proposto espressamente in primo grado una domanda di risarcimento per violazione dell'articolo 2087 c.c. che la stessa Caia riteneva fosse implicita per il fatto che fosse lavoratrice per conto di Tizio. In altre più semplici parole la Corte ci dice che una volta chiesto espressamente il risarcimento ex articolo 2052 c.c. non poteva ritenersi implicita una domanda di diverso titolo quale è quella ex articolo 2087 c.c.) sol perché nella descrizione del fatto si indicava l'esistenza di un rapporto di lavoro. Rapporto di lavoro, scrive la Cassazione, che assume rilievo come  occasione del danno e non già la fonte di esso.

Ma vi è di più. Una responsabilità pronunciata  ex art. 2087 c.c. non avrebbe verosimilmente condotto a diversa soluzione dal momento che incombe sul dipendente (Caia) l’obera di dimostrare oltre all'esistenza del danno la nocività dell'ambiente di lavoro, nonché il nesso tra i due elementi. Solo se fosse stato assolto tale onere da Caia, Tizio avrebbe a sua volta provare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno.