September 24, 2022

BUONA CACCIA

Che splendido cane da caccia! Me lo presta? Lei non va a caccia vero? Peccato, con un cane così. Me lo dicevano sempre, quando andavo in giro con Bea.

Bea, una dolcezza che faccio fatica a descrivere. Che non potrò mai dimenticare. Un setter inglese misto non so bene cosa. Sicuramente un ex cane da caccia, usato da qualche bastardo sino a quando ne ha avuto bisogno. Poi abbandonata, anzi rottamata come si fa con le macchine e fortunatamente ritrovata da qualche anima pia. Mi piacerebbe incontrare quell’ “anima nobile” che le aveva tatuato il marchio CE (Caserta?) sulla pancia. Che le aveva letteralmente segato i denti perché non rovinasse la preda. Che le ha a provocato sordità da un orecchio verosimilmente colpendola con il manico del fucile o usandole altra e più affettuosa cortesia. Enrico Alleva una volta disse che forse un giorno toccherà agli animali umani essere oggetto di studio da parte di qualche studioso extra terrestre e che questo studio potrebbe essere già in atto, classificando noi umani “come esseri immondi, solo capaci di sciupare, inquinare, stravolgere ed esaurire” il mondo che ci ha ospitato.

La caccia. Per quanto mi riguarda, la considero una ignobile ferocia. Tanto ignobile che la morte va inflitta nel modo più rapido possibile, per evitare inutili sofferenze. Lo ha detto anche la Cassazione penale, con una sentenza, la n.29816/2020. L’uccisione di un animale deve essere eseguita senza infliggere allo stesso inutili e ulteriori sofferenze. E dunque quel capriolo, che avrebbe comunque trovato la morte per mano dei cacciatori, doveva morire senza soffrire. Al capriolo — non finito con lo sparo del cacciatore e non successivamente ucciso con un colpo di grazia sempre dal cacciatore — non sono state risparmiate inutili sofferenze. Tanto è che, precisa la Cassazione, in materia di macellazione si devono adottare procedimenti atti a produrre la morte nel modo più rapido possibile.

Il riferimento è allo stordimento. Cortesia riservata agli animali da reddito. Si appoggia in un punto preciso del capo dell’animale (da reddito) una pistola il cui proiettile perforerà la scatola cranica della “bestia” provocandone la parziale distruzione del tessuto cerebrale e l’incoscienza dell’animale stesso. A tanto dovrebbe seguire, e vi è davvero da augurarselo, la cessazione delle funzioni vitali ma se vi fosse qualche dubbio sul fatto che l’animale sia stato effettivamente stordito chi dovrà non esiterà a sparare un secondo e definitivo colpo.

Ineccepibile la decisione della Cassazione sotto il profilo tecnico-giuridico. Ma solo sotto quel profilo. Un profilo la cui accettazione o negazione non ha irrilevanti conseguenze, soprattutto alla luce della riforma dell’art. 9 della Costituzione che, ricordo, ha introdotto una riserva di legge per cui “La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali”. Se le parole hanno un peso specifico e nella carta costituzionale lo hanno più di ogni altra fonte di diritto, la parola tutela degli animali avrà verosimilmente avuto, per il legislatore, un suo preciso significato. E allora mi domando se, con particolare riferimento all’attività venatoria, e all’art. 9, quella sia ancora considerabile come attività costituzionalmente legittima. Il discorso è complesso, mi fermo.

Come si è fermata la vita di quel ragazzo a febbraio scorso, se non ricordo male nel torinese. Solo 32 anni, sarebbe diventato padre. Viene invece scambiato per un capriolo. La morte arriva per mano di un altro cacciatore alla ricerca non di caprioli ma di cinghiali, pure da abbattere. Le loro strade si sono incrociate. Come anche i loro destini. Quello del giovanotto è maligno. Non ucciderà più alcun capriolo e non vedrà nascere suo figlio. E’bastato un fruscio di foglie per vedere materializzata la sagoma di una animale da abbattere. Adrenalina alle stelle e si fa fuoco, per poi accorgersi che quella sagoma era di un essere umano, un futuro papà. Troppo tardi. La notizia va in cronaca. Viene riportata. Fa statistica, per la prossima battaglia contro oppure a favore della caccia. A me questa ennesima tragedia fa invece tanta paura. Come quella paura che ho provato solo qualche tempo fa, quando ancora avevo il privilegio di passeggiare con Bea. Eravamo in aperta campagna. Una lunga strada avanti a noi, non un sentiero nascosto e impervio. Iniziamo a percorrerla ma dopo solo pochi passi decido di tornare indietro. A passo svelto. Il rumore sordo degli spari di alcuni irresponsabili mi blocca. Provo paura. Loro, invece, i cacciatori, non provano vergogna. Forse ho evitato di fare statistica, ma così davvero non va.