La caccia elevata finanche a divenire un’alleata della sostenibilità ambientale e della biodiversità è una favola che credo non possa più reggere. Favola dal titolo “Legge n.157/1992”, nata per contenere quella smania venatoria che, ormai contigua al bracconaggio, rendeva non oltremodo rinviabile una fonte normativa di rango superiore. Si racconta che l’attività venatoria avrebbe dovuto selezionare le specie, mantenendo un equilibrio tra queste. La caccia espressione di valori sani e di rispetto della natura, dove l’utilizzo di sofisticati fucili di precisione è unicamente strumentale al controllo delle specie faunistiche. Come qualcuno ha scritto, si preleverebbero gli interessi senza intaccare il capitale (cit. da Caccia e territorio Evoluzione della disciplina normativa in Toscana, di Gian Luigi Corinto Roberto Fratini). Invero il prelievo oltre ogni misura, legale o illegale, complice l’assenza di una seria e scientifica programmazione, di fatto porta a risultati opposti a quelli voluti dalla legge n.157. La caccia si è fisiologicamente trasformata, credo, in un’attività che ha come unica vera reale motivazione l’adrenalina che pare si impossessi di coloro che uccidono un animale indifeso. Con fucili di precisione. Lasciando, non poche volte, l’animale ferito, magari mortalmente, così da trascorre le sue ultime ore tra atroci sofferenze perché riuscito ad evitare la cattura.
Non ho particolari competenze in materia. Anzi sono ignorante ma non fino al punto di non cogliere quella insanabile contraddizione che appartiene alla legge stessa. Vale a dire che si possono uccidere animali indifesi purchè non si uccidano tutti dal momento che lo Stato ha come priorità la protezione dell’ambiente e di tutte le sue forme. Un ambiente che oggi è altro rispetto a quello di ieri e la cui fisiologica trasformazione necessariamente impone, in coloro che governano, gestione e pianificazione. Ci sono state? Come e da chi vengono individuati i necessari criteri che devono guidare le stagioni venatorie? Sono forse decisivi i carnieri dei cacciatori dove, si racconta, che il numero degli animali sterminati in ogni giorno di caccia venga segnato a matita?
Non credo di affermare il falso scrivendo che, la legge che una vita fa ebbe a disciplinare l’attività venatoria, si è di fatto smarrita negli anni. Sino ad arrivare ai giorni nostri dove una legge di bilancio prevede inspiegabilmente e irragionevolmente una sorta di invito allo sparo. Con buona pace del dibattito parlamentare che, come insegnano i manuali di diritto costituzionale, dovrebbe costituire il momento più importante di una repubblica parlamentare. Quella originaria tutela voluta dal legislatore nel 1992 pare ormai quasi inesistente (la Corte Costituzionale non poche volte è intervenuta bocciando leggi regionali di dubbio valore). Lo dimostrano le proposte normative sbilanciate più verso un mero utilizzo delle doppiette che di autentica tutela della fauna selvatica. Per la gioia di elettori e aziende del settore. L’auspicato e legittimo obiettivo della selezione del mantenimento della biodiversità pare più sbilanciato alla selezione di interessi particolari (industria delle armi, dell’abbigliamento e degli strumenti per la caccia, costi per permessi e licenze) che con la biodiversità hanno poco da spartire.
Che qualcosa non funzioni lo dimostrano i dati più che allarmanti sul bracconaggio reso “necessario” proprio da quella normativa che autorizza ad uccidere gli animali ma solo alcuni tra loro, in certi periodi dell’anno e con delle limitazioni anche territoriali. Pare, e non ho motivo di dubitarne, che nei periodi di apertura alla caccia si verifichino l’80% degli episodi di bracconaggio. E se tanto è vero come si può sostenere che il bracconaggio è alto rispetto alla caccia legalizzata? Il bracconiere è una entità astratta che si materializza quando è chiuso il periodo di caccia o invece è un signore che magari è pure in possesso di quella delega ad uccidere altri animali (noi siamo animali) dallo Stato?
Quale è oggi il reale senso del prelievo venatorio? Forse un fine ricreativo da alcuni scambiato finanche per sportivo. Il numero dei cacciatori (la cui età è mediamente alta) è in calo costante. Ma le nefandezze che si compiono sotto l’egida della legge sulla caccia sono sempre tante. Mostruose. Come assicurarsi che l’animale muoia nel modo più rapido possibile così da evitargli inutili sofferenze. Lo ha detto anche la Cassazione, sentenza n.29816/2020. E dunque il capriolo, che avrebbe comunque trovato la morte per mano dei cacciatori, doveva morire senza soffrire. Al capriolo — non finito con lo sparo del cacciatore e non successivamente ucciso con un colpo di grazia sempre dal cacciatore — non sono state risparmiate inutili sofferenze.
Continuo a domandarmi se, con particolare riferimento all’attività venatoria, e all’art. 9, questa sia ancora considerabile come attività costituzionalmente legittima. Evidentemente si se una recente decisione di Regione Lombardia ha legalizzato lo spiedo bresciano in onore e rispetto di una dichiarata valorizzazione della cultura e della tradizione lombarda per quanto riguarda i preparati a base di selvaggina.
La verità è che la legge 157 del 1992 è stata sottoposta ad una imbarazzante dilatazione continua, attraverso proroghe di ogni tipo e natura, inserite in dubbie leggi leggi regionali. Con il risultato di avere contribuito non alla tutela bensì a mettere in serio pericolo la sopravvivenza di alcune specie di animali selvatici. Franco Frattini aveva aperto il convegno dedicato alla riforma dell’articolo 9 della Costituzionee affermando che "la dignità degli animali si deve trasformare in norme giuridiche. Se non ci pensa il legislatore, ci pensi la Corte Costituzionale a cancellare leggi non giuste”. Come ha fatto con la sentenza n.174/2017, chiarendo che, non potendo le Regioni consentire lo sconfinamento dei cacciatori dal proprio ambito territoriale, doveva ritenersi illegittimo il cosiddetto “nomadismo venatorio”, ovvero la caccia al di fuori degli ambiti territoriali in cui ogni cacciatore deve essere iscritto per legge (il riferimento era ad una norma precisa di una legge della Regione Veneto).