Provo a raccontare questo film che ho avuto occasione di vedere e rivedere proprio per cercare di coglierne pienamente il senso. Che fatico a trovare. Premetto di non conoscere altri lavori della regista, principale (e unica) protagonista insieme al suo meraviglioso golden retrive di nome Beau. Il film, anzi il docu-film, è un susseguirsi, lento, di momenti di vita non particolarmente significativi che la protagonista e il cane trascorrono insieme. Una scusa, il racconto di questi momenti (il risveglio, la passeggiata, la malattia di Beau solo accennata, le attività ludiche che vengono fatte praticare a Beau), che permette alla protagonista umana di porsi e porre allo spettatore alcune riflessioni che provo a riproporre.
Beau rappresenterebbe il centro dell’esistenza della sua compagna umana Claudia che al termine padrona o proprietaria preferisce quello di caregiver. Non ne farei una questione definitoria chiedendo invece alla regista perché Beau è al centro della sua esistenza. Se non crede che si tratti di una espressione più retorica che di contenuto. In ogni caso non si evince quale posto abbia avuto Beau nella vita di Claudia. Elogiato per essere “qui e ora”, ponendo cioè attenzione nel momento presente e in modo non giudicante. Verissimo ma nulla di nuovo. Forse dimenticato da noi umani come forse appare nel film caratterizzato in non pochi passaggi da un linguaggio eccessivamente antropomorfizzato. Riscattato dalla domanda che la protagonista umana si pone interrogandosi sulle tante rinunce che un cane deve sopportare vivendo in un contesto di umani. A partire dalla libertà di andare dove vuole perché costretto da un guinzaglio, prima vera rinuncia o imposizione in suo danno. Ma tanto è. E proprio perché non si potrebbe fare altrimenti ritengo discutibili le immagini in cui Beau corre libero insieme ad altri cani nei parchi. Una mancanza di rispetto delle regole. Di chi non ha la stessa empatia per gli animali. Di chi sia convinto che non esiste il cane buono. Come non esiste il cane cattivo. Esistono solo le regole e vanno rispettate.
Quelle rinunce alle quali allude la regista sono proprio riferibili, forse, a quelle attività che Claudia impone a Beau. Che non pare le abbia richieste o comunque condivise. Le ha forse subite. Probabilmente con piacere. Ma non lo sapremo mai. Mi riferisco all’educazione imposta da esperti cinofili piuttosto che alla attività in piscina.
Inopportuna, anzi non comprensibile, avere sottoposto Beau al test per capire se Claudia fosse realmente il suo punto di riferimento. Mi chiedo - e chiederei alla regista- se non pensa che da questo film si possa per avventura derivare l’idea che il rapporto con l’animale si fonda purtroppo su ciò che l'uomo considera necessario - o, forse, anche solo utile o opportuno se non piacevole a se stesso- nell'esercizio di tutte quelle attività che coinvolgono gli animali.