Chi ha la cortesia di leggermi (bontà sua) sa che il tema degli altri animali, quelli invisibili, mi è caro. Anche loro tutelati, pur se tanti destinati a morire non di morte naturale. In particolare a loro tutela, tra le diverse norme esistenti non tutte coerenti perché tanti sono ancora gli utilizzi che dell’animale l’uomo fa, quella di cui alla legge n.189 del 2004. Una legge discussa e discutibile, sotto alcuni versi. Forse più sotto l’aspetto “teologico” che pratico posto che ancora si discute sul senso da attribuire alla locuzione “sentimento per gli animali” credendo che una riforma lessicale possa risolverne l’impasse. Forse già risolta da qualche illuminato e lungimirante giudice tempo addietro che ha fatto chiarezza su quale fosse il vero destinatario della tutela e dunque su quale fosse il reale bene giuridico tutelato.
La sentenza in commento, come vedremo, si inserisce in questa scia pur riferendosi ad un argomento (quello della brucellosi bufalina) che meriterebbe più di un serio approfondimento, sotto tanti punti di vista.
Il titolare di un allevamento zootecnico viene condannato in primo e secondo grado per avere somministrato ai capi bufalini adulti presenti nella propria azienda, di età superiore a nove mesi, il vaccino contro la brucellosi RB51. Somministrazione che all’epoca dei fatti (2018) era vietata da un decreto ministeriale nonché da una delibera della Giunta Regionale campana (che ne autorizzava la somministrazione negli animali di età compresa dai sei ai nove mesi per il triennio 21001-2014 e ne prevedeva il divieto assoluto per il triennio 2014-2017)
Il reato contestato è quello di cui art. 544-ter c.p., comma 2, figlio della legge n. 189 del 2004, articolo che punisce la somministrazione di sostanze vietate ovvero la sottoposizione dell'animale a un trattamento dal quale derivi un danno alla salute.
La decisione della Cassazione, come anticipato, è particolarmente interessante. E lo è laddove spiega che l'art. 544-ter c.p., comma 2, sanziona alternativamente due condotte, di cui la prima configura un reato di pericolo (viene punita la mera somministrazione del vaccino a prescindere dall'accertamento dell'avvenuta realizzazione di un danno alla salute dell’animale) e la seconda, invece, un reato di danno (che presuppone l’accertamento dell'avvenuta realizzazione di un danno alla salute dell’animale).
Ne segue, scrive la Cassazione, che a sentenza impugnata (quella della Corte di Appello) fa puntuale applicazione dei principi di diritto appena richiamati. In primo luogo non vi erano dubbi quanto all'effettiva somministrazione del vaccino ai capi di bestiame dell’imputato, (risultati positivi alla presenza di anticorpi della brucella, determinata dall'utilizzo del vaccino RB51). E tale circostanza era sufficiente ai fini della sussistenza del reato in esame avendo il legislatore vietato la somministrazione di tale sostanza agli animali, a prescindere da quale fosse lo specifico motivo di tale divieto (ritenuto dalla difesa dell’imputato nella ritenuta risoluzione dell’infezione che non rendeva più indispensabile la somministrazione del vaccino) . In secondo luogo era irrilevante per la sussistenza del reato (di pericolo) che fossero esplicitati i rischi o i pregiudizi che l'imputato avrebbe in concreto cagionato ai bufali con l'inoculazione del vaccino.
Di tanto non si può non esprimere soddisfazione. L’interesse tutelato è quello dell’animale, in via diretta e non mediata. L’animale è però protetto anche (o soprattutto) per il suo valore economico ma tale protezione -secondo quanto se ne ricava da questa sentenza- non si pone in alternativa.
fp