Trib. di Roma sezione II sentenza 30 giugno 2021
Una doverosa premessa. La c.d. culpa in vigilando è lo spauracchio di ogni docente. Il timpore cioè che i propri studenti si possano fare male o possano fare male ad altri studenti durante l’ora di lezione così da essere (gli insegnnati) ritenuti responsabili giuridicamente di quanto accaduto. Quella responsabilità per cui l’insegnante è responsabile del danno cagionato dal fatto illecito dei suoi allievi nel tempo in cui sono sotto la sua vigilanza”. Lo prevede l’articolo 2048 del codice civile.
La vera criticità di questa disposizione è rappresentata dalla c.d.prova contraria che l’insegnante deve fornire per liberarsi da ogni responsabilità. La prova cioè che né quel determinato insegnate né alcun altro insegnante diligente avrebbe potuto, nelle medesime circostanze, evitare quel danno. Più segnatamente occorre dimostrare che l’insegnante non è stato in grado di intervenire per correggere quel determinato comportamento o per reprimerlo avendo comunque adottato in via preventiva ogni misura disciplinare ed organizzativa volta ad evitare l’insorgenza di una situazione di pericolo. Il tutto commisurato all’età ed al grado di maturazione raggiunto dagli allievi in relazione alle circostanze del caso concreto. Una sorveglianza tanto più efficace e continuativa quanto più giovani sono gli alunni.
Venendo alla sentenza in comemnto, accade che uno studente delle medie rimane vittima di gravi atti di bullismo (calci nei genitali) da parte di alcuni compagni durante le ore di lezione riportando gravi danni sia fisici che psichici. I genitori del ragazzino fanno causa al Ministero di competenza (oggi Miur) chiedendo sia i danni patrimoniali che quelli non patrimoniali. Chiedono altresì la condanna dei genitori dei “bulli” per culpa in educando sui di loro figli minori.
La scelta di fare causa al Ministero (Miur) trova origine all’ art. 61 della L. 11 luglio 1980, n. 312 che prevede la sostituzione dell'Amministrazione nelle responsabilità civili derivanti da azioni giudiziarie promosse da terzi così escludendo in radice la possibilità che gli insegnanti statali siano direttamente convenuti da terzi nelle azioni di risarcimento danni da "culpa in vigilando”.
Il Tribunale di Roma accoglie la domanda di risarcimento ritenendo ravvisabile una responsabilità di natura extracontrattuale (riconducibile all’art. 2048 c.c.) degli insegnanti per l'omessa vigilanza in ordine alle condotte lesive tenute da parte degli altri allievi i confronti dello studente.
Ripercorro il ragionamento del Tribunale romano.
Risultava acclarato dai verbali del consiglio di istituto che alcuni allievi della scuola avessero denunciato giochi inopportuni che implicavano calci, anche nei genitali, ai compagni. Tale circostanza avrebbe dovuto imporre un obbligo di stringente sorveglianza da parte degli insegnanti così da adottare tutte le misure idonee a prevenire simili condotte, anche alla luce della giovane età degli studenti coinvolti (alunni di terza media). Una sorveglianza in capo ai docenti che, si legge in sentenza, non poteva essere esclusa sol perché tali eventi si fossero verificati nei corridoi o nei bagni della scuola, come risultava, posto che l'obbligo di vigilare sulla sicurezza ed incolumità degli allievi si estende per tutto il tempo in cui i medesimi fruiscono della prestazione scolastica in tutte le sue espressioni.
Nel caso in commento pur essendo noto al corpo docente il fatto che gli alunni della struttura scolastica fossero dediti a giochi potenzialmente pericolosi, non erano sono state adottate misure organizzative idonee a prevenire il danno subito dallo studente.
Soffermiamoci ora sulla domanda avanzata dai genitori dello studente bullizzato finalizzata al riconoscimento della responsabilità per culpa in educando dei genitori dei riconosciuti “bulli” (l’avere impartito al minore un'educazione adeguata a prevenirne comportamenti illeciti). Responsabilità che non viene riconosciuta ed è interessante capire il perché il Tribunale non ha inteso riconoscerla.
Se è vero che è stato acclarato come il gioco di colpire, anche nei genitali, i compagni di classe, costituisse un'abitudine invalsa negli allievi della struttura scolastica, non era stato provato che gli unici a tenere la suddetta condotta fossero proprio gli allievi i cui genitori sono stati citati nel presente giudizio.
Parimenti non accolta dal Tribunale la domanda volta al risarcimento dei danni patiti in proprio dai genitori del ragazzino colpito poiché non provati.
fp