Il randagismo è un fenomeno oggi contenuto, limitato forse a talune zone del nostro paese, ma è un problema ancora non risolto. Foriero di possibili danni, a persone, animali e cose. Danni che devono essere risarciti. Il problema è l’esatta individuazione del soggetto o ente al qual rivolgere la domanda di risarcimento. E’ noto come la responsabilità “civile” per i danni causati dai cani randagi gravi esclusivamente sull'ente cui le singole leggi regionali, attuative della legge quadro nazionale n. 281 del 1991, attribuiscono il compito di cattura e custodia degli stessi. Questo significa che occorre individuare, caso per caso, l’ente su cui grava l’obbligo giuridico di “recupero”, “cattura” e “ricovero” dei cani randagi. Compiuto il primo passo e dunque una volta individuato il soggetto tenuto al controllo del randagismo, il danneggiato deve ulteriormente attivarsi non limitandosi a denunciare che il sinistro sia stato causato da un randagio.
In altre parole sempre il danneggiato deve “provare” quella che è il contenuto della condotta obbligatoria esigibile da quel certo ente; quindi dimostrare la riconducibilità dell’evento dannoso nel quale è rimasto coinvolto proprio al mancato adempimento di tale condotta obbligatoria, in base ai principi della c.d. causalità omissiva. Ed è proprio entro questo perimetro che va verificato il tipo di comportamento esigibile volta per volta dall’ente individuato. In questo modo se ne potrà dedurre la eventuale responsabilità sulla base dello scarto tra la condotta concreta e la condotta esigibile, quest’ultima individuata secondo i criteri della prevedibilità e della evitabilità e della mancata adozione di tutte le precauzioni idonee a mantenere entro l’alea normale il rischio connaturato al fenomeno del randagismo.
Mettendo da parte il “giuridichese” provo a ulteriormente semplificare. Il danneggiato (ipotizziamo l’impatto tra un auto e un cane randagio che attraversando la strada conduce il veicolo fuori strada) deve fornire la prova che quel fatto era evitabile con uno sforzo proporzionato alle capacità di chi doveva provvedere onde evitare l’evento. E questo onere può essere assolto provando come fosse nota la conoscenza della circolazione di cani randagi nella zona teatro dei fatti. Prova che può desumersi, a sol titolo di esempio, dalla allegazione di pagine di siti web locali riportanti notizie o finanche relativi forum nei quali si dava atto della presenza di cani randagi nella zona ove è accaduto il sinistro unitamente alla prova, sempre da produrre, che diverse erano state le segenalazioni rivolte agli enti preposti perché intervenissero. Importanti sono eventuali testimoni che possano co fermare la presenza di cani randagi in quella determinata zona.
Concludo con una precisazione. In tema di cani randagi non si applica il criterio di imputazione previsto invece i tema di responsabilità per danni provocati da animali selvatici non potendo trovare applicazione le regole di cui all’art. 2052 cod. civ.. Questo in considerazione della natura stessa di detti animali e dell’impossibilità di ritenere sussistente un rapporto di proprietà in relazione ad essi da parte dei soggetti della pubblica amministrazione preposti alla gestione del fenomeno del randagismo.