E’ un può come tagliare le unghie al gatto, si è difeso Tizio, riferendosi a volatili non destinati alla migrazione e detenuti in un’area privata recintata aperta al pubblico tre volte l’anno per una mostra avifaunistica. Volatili ai quali aveva tagliato le penne remiganti, quelle che costituiscono la parte più importante del piumaggio in quanto indispensabili per volare. Operazione ritenuta (da Tizio) né dolorosa né dannosa per gli animali (undici fenicotteri e a tre pellicani).
La sentenza, la n. 29824 del 10 luglio u.s. emessa dalla terza sezione della Cassazione penale, che si inserisce in una scia di sentenze davvero pregevoli a tutela del benessere di questi meravigliosi animali, è di altro e diverso parere.
Il reato all’origine della vicenda e per il quale è indagato Tizio è quello di cui all’art. 544 ter cod. pen.. La Cassazione non accoglierà il ricorso di Tizio che qui epuriamo da considerazioni di ordine tecnico processuale per evidenziarne solo le illuminate, etologiche, zoologiche e scientifiche motivazioni. Provo a riassumerle.
Il taglio delle penne remiganti espone gli uccelli all’insorgenza di eventuali lesioni epidermiche alla regione della groppa cagionando un impedimento totale del volo, sbilanciando i volatili nella deambulazione e predisponendoli a patologie dell’apparato muscolo-scheletrico, del sistema cardiocircolatorio e respiratorio.
Tale inibizione del volo genera un forte stress e una profonda frustrazione impedendo la fuga in caso di predazione e mortificando l’istinto naturale alla migrazione (peraltro il Ministero della Salute con nota del 25 marzo 2019 ha affermato che le alterazioni delle piume non erano accettabili come misura atta a impedire la fuga degli esemplari).
Quanto al gufo, la sentenza è la n. 46365 del 2017 sempre della Cassazione penale che ha riconosciuto il 727 c.p. per la sofferenza dell’animale (un gufo reale) detenuto da Caio in una voliera di dimensioni talmente ridotte da non consentire all'animale neppure lo spiegamento completo delle ali. Nell’occasione Caio si era difeso affermando che il gufo reale non apriva mai completamente le ali nemmeno durante il volo limitandosi, come i rapaci notturni, a brevi voli per la caccia o per la pulitura delle piume avendo definitivamente perso le abitudini della propria specie. Una mobilità, replica la Corte, depressa dalle condizioni di detenzione in cui veniva tenuto.