Torno a parlare di aree cani. Lo avevo già fatto commentando una sentenza della Cassazione penale (la n. 31874 del 2019). In quell’occasione un bimbo di anni cinque stringendo la mano della di lui nonna entra all’interno di un’area cani senza introdurvi però alcun animale (sol perchè ammaliato dai cani che erano all’interno dell’area medesima, succede). Nel mentre la nonna si gira verso la porticina d’ingresso dell’area per richiuderla, sempre tenendo per mano il nipotino, un cane ivi presente lo aggredisce mordendolo alla coscia e procurandogli lesioni. La proprietaria del cane al momento dell’aggressione si trovava all’interno della medesima area cani, seduta su di una panchina, e non si era non accorta immediatamente di quanto stava accadendo. Sol perchè richiamata dalle urla della nonna accorreva e riprendeva il proprio cane. Si tratta di un accadimento che quotidianamente, anche se con modalità differenti, rivive (o può rivivere) nelle aree cani della nostra penisola. Possono cambiare le modalità di aggressione, i soggetti coinvolti, le conseguenze. Spesso irreparabili, per i cani. A volte dolorosissime, per gli umani, sotto il profilo fisico e psichico.
L’occasione per riprendere questo tema mi è data dalle polemiche relative alla modifica del Regolamento Tutela Animali di Firenze, modifica che ha interessato proprio le aree cani fiorentine. Alcune limitazioni o divieti sono giudicati eccessivi proprio per la funzione di detti spazi. Cito, solo per avere letto qualche notizia ma non per conoscenza diretta del testo, il divieto di dare da mangiare ai cani, di utilizzare attrezzi da gioco come palle o finanche frisbee. Una durata massima di permanenza al loro interno.
A mio modo di vedere (come ho sempre detto non amo le aree cani) sono una necessità, soprattutto in alcune città. Un male necessario dove i frequentatori, non me ne abbiano coloro che invece ritengono di non riconoscersi affatto in questa descrizione e con loro mi scuso in via anticipata, sono convinti non si applichino le regole. Una terra di nessuno. Varcando quei cancelletti in legno spesso distrutti, anzi facendovi introdurre i propri amati cani, si acquisisce una sorta di immunità a tempo.
Non è così. Il rispetto delle norme permane, che il proprietario del cane si trovi all’interno o sia rimasto esterno all’area in cui il suo cane si trovi. Di quali norme stiamo parlando? Dell’art. 2052 del codice civile. Dell’art. 2043 sempre del codice civile. Dell’art. 590 del codice penale. Dell’art. 672 sempre del codice penale. Dei regolamento locali riferibili alla frequentazione delle aree cani. Soprattutto stiamo parlando di una regola che presuppone tutte quelle ora citate. La conoscenza del proprio cane. Purtroppo spesso assente.
Il regolamento milanese di Tutela Animali all’articolo 18 parla proprio delle aree cani. Si dice che all’interno di dette aree i cani possono essere lasciati liberi e privi di museruola, ma devono essere comunque sottoposti al controllo costante, vigile e attivo del proprietario o del detentore responsabile. E questi, ricorda il regolamento, rispondono di qualsiasi danno causato dai loro animali. E soprattutto a questi i è fatto obbligo di prevenire eventuali danni a persone, altri animali o cose; allontanarsi tempestivamente dall’area con il cane, qualora non riescano a controllarne il corretto comportamento. Ultima, ma forse più importante raccomandazione, è quella per cui i cani che accedono alle aree cani devono essere condotti esclusivamente da persone idonee a trattenerli efficacemente all’occorrenza, presupponendo che li conoscano. E su questo preferisco soprassedere.
Riprendo la sentenza della Cassazione prima richiamata solo per dire che la proprietaria del cane, querelata dai genitori del bambino, è stata condannata in primo e secondo grado per lesioni (art. 590 cp) e per avere omesso di custodire il proprio cane con le debite cautele (art. 672 cp). Ha quindi cercato, inutilmente, di rimettere tutto in discussione ricorrendo in Cassazione. E questa ha ribadito che il proprietario di un cane all’interno dell’area cani deve mantenere vigile l’attenzione si cosa stia facendo il proprio animale così da essere pronta ad intervenire con museruola in caso di necessità. E’ invece emerso, secondo quanto si legge in sentenza, che la proprietaria del cane si sarebbe disinteressata dello stesso tanto da non avvedersi dell’aggressione.
Un passaggio che reputo interessante per chiunque avrà la cortesia e pazienza di leggere queste mie considerazioni è quello relativo alla interruzione del nesso di causalità tra il fatto e l’evento. Mi spiego meglio. La difesa della proprietaria del cane ha sostenuto l’interruzione di tale nesso determinata dall’ingresso della nonna e bambino senza cane (a dire della difesa vietato dal decalogo aree cani) e dal fatto che la stessa nonna si sia distratta nel chiudere la porta di ingresso dell’area cani. La Cassazione ha ritenuto invece che la proprietaria del cane potesse e anzi dovesse prevedere i possibili e non improbabili sviluppi causali della propria incauta custodia per il fatto di essere proprietaria di un animale e che quello per le caratteristiche naturali (si tratta di un cane pastore tedesco) doveva considerarsi potenzialmente pericoloso; quanto alla condotta della nonna non sarebbe stata negligente (non avrebbe potuto controllare ogni anfratto dell’area prima di accedervi e comunque alcun divieto esisterebbe per l’ingresso senza cani) e soprattutto non rileverebbero in tale condotta i connotati della imprevedibilità ed eccezionalità. In altre e più semplici parole se la proprietaria avesse mantenuto un controllo visivo attivo avrebbe, secondo un elevato grado di probabilità logica, potuto avvedersi del pericolo e richiamare il cane.
Concludo ricordando che troppo spesso ricevo segnalazioni di incidenti gravi all’interno delle aree cani. Questo credo possa giustificare tentativi messi in atto dalle amministrazioni comunali per rendere meno probabili questi incidenti. Soprattutto se mirati ad una corretta, adeguata e tempestiva manutenzione delle aree riservate ai nostri amici a quattro zampe. Questo credo anche dimostri che ancora troppo spesso latiti in prossimità di queste aree una certa consapevolezza e una auspicata buona educazione su cosa voglia dire condividere un pezzo della nostra vita con un animale.
E questo mi preoccupa sempre molto.