Benché si tratti di una pronuncia non recente il caso trattato e le diverse tematiche affrontate nella sentenza in commento, resa dal Tribunale di Reggio Calabria nel 2013, rendono la decisione di non trascurabile interesse.
Durante una routinaria visita di controllo al cane di Tizio viene riscontrata la presenza di un rigonfiamento periombellicare forse riconducibile ad un forasacchi. Il giorno successivo Tizio, come da accordi con il medico veterinario, riaccompagna il cane in clinica perché si indaghi quel rigonfiamento. Qualche ora più tardi Tizio viene invitato a recarsi urgentemente presso la clinica dove apprende della intervenuta morte del cane dovuta, secondo il veterinario, ad una fatalità.
Tizio, sconvolto e sconcertato, fa opportunamente eseguire presso la facoltà di medicina veterinaria un esame autoptico sul cane individuando quale causa del decesso uno shock anafilattico. Causa confermata anche in sede di accertamento tecnico preventivo che Tizio promuove e che evidenzia come il decesso del cane fosse ascrivibile alla responsabilità del medico veterinario che aveva effettuato l’intervento. Un intervento non preceduto da acquisizione del consenso informato da parte di Tizio, viziato da una errata diagnosi e svoltosi all’interno di una struttura non adeguatamente attrezzata a intervenire nelle ipotesi di manifeste reazione allergiche.
Segue una causa civile in Tribunale dove Tizio chiede che il veterinario venga condannato al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali. Il veterinario, costituendosi, chiama in causa la sua compagnia assicuratrice.
Primo tema di interesse: l’autopsia.
Nelle ipotesi di morte dell’animale qualora non siano certe, conosciute e in un certo senso accettate dal proprietario le cause di decesso del proprio animale è opportuno fare eseguire nelle strutture idonee, anche alla presenza di un consulente di fiducia del medico veterinario stesso, una autopsia che ne certifichi le ragioni. Diversamente non essendoci certezza sulle cause del decesso il proprietario si troverebbe in difficoltà nell’impostare la propria azione giudiziale. Nel caso in esame il proprietario del cane ha opportunamente scelto di farla eseguire. Ovviamente le conclusioni dell’esame autoptico dovranno essere valutate dalle rispettive parti in causa.
Il ricorso all’accertamento tecnico preventivo (c.d. atp).
Il proprietario dell’animale deceduto e, come nel caso in questione, pur in possesso di un referto autoptico, può rivolgersi al Tribunale perché nomini un consulente tecnico d’ufficio (un medico veterinario super partes) che accerti e determini se la prestazione veterinaria si è svolta secondo le regole dell’ars medica indicandone le cause che hanno determinato la non corretta prestazione e i costi per rimediarvi, quando possibile. Il fine è quello di fotografare una certa situazione nella speranza di ed arrivare ad un epilogo e comunque precostituirsi una consulenza tecnica d utilizzare in un eventuale e non creduto successivo giudizio.
Mancanza di consenso informato
Il tema del consenso informato è un tema molto delicato. Sia in medicina umana che in medicina veterinaria. Nell’ambito di quest’ultima spesso dimenticato. In estrema sintesi il consenso informato (che prevede una seria informazione alla quale sola può seguire un consenso o dissenso) rende lecito un qualcosa (l’atto medico) che altrimenti resterebbe illecito. Ebbene, il veterinario convenuto in giudizio non è riuscito a dimostrare di avere assolto tale onere che all’epoca dei fatti era imposto solo dal codice deontologico.
Errata diagnosi
A dire di Tizio la diagnosi fatta sul cane non sarebbe stata corretta dal momento che non vi era certezza della presenza del forasacchi e, conseguentemente, l’intervento chirurgico in anestesia generale rappresentava scelta terapeutica inidonea allo scopo ed eccessivamente pericoloso attesi i rischi che si ricollegano all'anestesia. Argomentazione che trova conferma nella deposizione del consulente tecnico d’ufficio che in sede di accertamento tecnico preventivo aveva dichiarato di non avere accertato alcun processo fistoloso o infiammatorio nella parte suturata che potesse fare pensare ad un corpo estraneo. Sarebbe stato più opportuno optare per un trattamento meno invasivo e meno rischioso eseguendo altri esami (diagnostica per indagini) che avrebbero o meno confermato la diagnosi iniziale.
Carente organizzazione della struttura medico-veterinaria
Emerge nella istruttoria che non solo il medico veterinario non avrebbe provato di avere posto in essere i comportamenti necessari per evitare reazione allergiche (ad esempio verificando, iniettando piccole dose di farmaco, la presenza di rossori o rigonfiamenti) ma che non avrebbe altresì approntato tutti i mezzi necessari per reagire prontamente ad eventuali shock anafilattici. Peraltro era emersa una grave discordanza secondo la quale mentre un teste di Tizio aveva affermato che dopo l’intervento il cane si era svegliato e addirittura alzato e che, solo dopo circa tre quarti d’ora, si era accasciato a terra, la difesa del medico veterinario convenuto aveva sostenuto che il cane, dopo essersi ripreso dall'anestesia, aveva avuto subito una crisi ed era morto.
In altre parole per Il Tribunale è venuta a mancare la prova che la morte fu immediata e non vi fosse possibilità di intervenire per evitarla. Peraltro in sede di accertamento tecnico preventivo era emerso che la causa della morte fosse da ricondurre ad arresto cardiocircolatorio dovuto a shock anafilattico, fatto che inficiava la la tesi del medico veterinario convenuto secondo cui la morte del cane fu indipendente dall’intervento. E’ invece risultata ricondursi ad un farmaco somministrato verosimilmente o per l'anestesia o subito dopo l'intervento medesimo.
Il Tribunale esclude anche che lo shock anafilattico avesse potuto integrare un caso fortuito trattandosi di un evento prevedibile nel caso di chirurgia con l'uso di anestetici e comunque evitabile scegliendo trattamenti terapeutici meno invasivi e senza uso di farmaci anestetici o effettuando i dovuti esami per verificare allergie ai farmaci utilizzati.
I danni liquidati
Il tema è per chi scrive un tema straordinariamente importante. Non poche volte peri la giurisprudenza la morte dell’animale (d’affezione) è priva di conseguenze. Viene risarcito il valore economico del cane e signora il dolore, la sofferenza creata al suo compagno umano (cioè il danno non patrimoniale). Nel caso in esame sotto questo profilo è stata ritenuta condivisibile la quantificazione effettuata dal CTU nell'elaborato peritale che lo ha determinato questo valore economico in euro 4.700,00. Venendo al danno non patrimoniale il Tribunale di Reggio Calabria è stato innovativo, anzi coraggioso. Se i diritti inviolabili non sono solo quelli sanciti dalla Costituzione e sono invece soggetti ad un'intepretazione evolutiva, appare arduo sostenere che il rapporto d’affetto tra uomo e animale, alla luce del mutato contesto sociale, non abbia copertura costituzionale. Il rilievo attribuito alla dimensione degli affetti, qualificata come attività realizzatrice della persona, ai sensi del combinato disposto degli artt. 3 e 2 Cost., conduce al riconoscimento ed al risarcimento del danno riconducibile alla perdita dell' animale d'affezione ogniqualvolta si alleghi e si provi in giudizio che il compagno umano proprio attraverso la cura dell' animale veniva a realizzare la propria esistenza.
Il Tribunale si spinge ad affermare che Tizio nello stipulare il contratto con il veterinario abbiano dedotto all'interno dello stesso il suo interesse, di ordine non patrimoniale, volto alla salvaguardia dell'animale e alla migliore cura dello stesso. Dall'istruttoria svolta è emerso il particolare legame affettivo che vi era tra il cane e Tizio. Quanto alla quantificazione, in via equitativa, considerate le sofferenze patite dopo il decesso dell'animale ( così come confermate anche dai certificati medici prodotte) il danno non patrimoniale è stato riconosciuto in euro 3.000,00 .