Corte d'Appello di Milano, Sentenza n. 1346/2022
Tizio si trova all’interno di un’area cani con il proprio cane, un alano. Si aggiunge un labrador, di Caia. Alano e labrador per motivi ovviamente ignoti a noi umani vengono alle “zampe”. Si accende una zuffa a seguito della quale Tizio, intervenuto, sostiene di essere stato morso dal labrador proprio nel tentativo di sedare la lite.
Non è dello stesso avviso il Tribunale milanese ritenendo invece che la ferita subita da Tizio sia riconducibile al proprio cane (alano). Segue il rigetto della domanda di risarcimento avanzata da Tizio per il morso subito.
Chi ha frequentazione delle aree cani (o di sgambata) sa che non è infrequente assistere a tali “diatribe canine”, apparentemente inspiegabili o frettolosamente catalogate come manifestazioni di inspiegabile aggressività dell’uno o dell’altro cane. Segnalo un pregevole articolo (Diritto umano, diritto animale: una lettura provocatoria dell'art. 2052 c.c., a firma di Riccardo Bianchini, collega del Foro di Prato) che offre una lettura illuminata di quest antropocentrica norma che è l’articolo 2052 c.c.. Si veda anche un mio ulteriore richiamo a tale pregevole articolo in https://www.studiolegaleportoghese.it/blog/se-il-cane-morde-per-legittima-difesa-e-responsabile-il-proprietario-dellanimale.
Tornando alla vicenda giudiziale, per la Corte di appello di Milano la decisione impugnata (quella che ha rigettato la richiesta danni avanzata da Tizio) trova il suo fondamento nel quadro emerso da alcune testimonianze univoche nell'escludere che il labrador avesse sferrato un morso a Tizio. Affermazioni che -viene scritto in sentenza- di per sé sole insufficienti ad escludere la riconducibilità del danno patito dall'appellante al fatto del labrador acquistano piena efficacia probatoria una volta lette alla luce delle circostanze di fatto antecedenti al ritenuto morso in danno di Tizio.
In altre parole sarebbe cioè emerso inequivocabile l'atteggiamento remissivo del Labrador che dopo essere stato morso sull'orecchio dall’alano invece di reagire si sarebbe nascosto sotto la panchina. Proprio sulla base di questa circostanza il primo giudice avrebbe correttamente ritenuto poco verosimile la prospettazione di Tizio escludendo conseguentemente che fosse “più probabile che non” che il morso subito fosse da ricondurre al labrador. Non si può escludere, si legge in sentenza, che l’alano, quantunque equilibratissimo (Tizio ha prodotto un certificato di equilibrio psichico rilasciato a seguito di un test di affidabilità di controllo dell'equilibrio psicologico del proprio cane), in un momento di rabbia e offuscamento abbia potuto reagire contro il proprio padrone, mordendogli la mano per il nervosismo.
Non diverse le conclusioni cui si perviene pur ritenendo, come rivendica Tizio, il morso subito dal proprio cane comunque conseguenza dell’azione del labrador. Vale a dire che il morso subito non si sarebbe verificato ove il labrador non si fosse avvicinato all’alano dando avvio al decorso causale che ne avrebbe determinato la verificazione.
Tralasciando tortuosi sofismi giuridici in tema di causalità giuridica come riportati in sentenza, Il fatto che il labrador si fosse avvicinato all’alano (verosimilmente) per giocare per giocare ma non possiamo escludere altre intenzioni) non può ritenersi causa dell'evento dannoso patito da Tizio. Il morso di un cane al proprio padrone non può ritenersi conseguenza normale di una “condotta” quale è stata quella del labrador che si è avvicinato all’alano. Labrador che, da quanto è emerso, dopo aver subito un morso dall’alano si sarebbe limitato a nascondersi sotto la panchina, senza reagire in alcun modo al “torto” subito.
In ogni caso e comunque, conclude la Corte di Appello, il riconoscimento della responsabilità ex art. 2052 c.c. del labrador quale che fosse stata a dinamica non può prescindere dalla dimostrazione del collegamento causale tra il danno allegato e il fatto dell'animale stesso. Prova che, nel caso di specie, non è stata raggiunta così escludendosi la configurabilità della responsabilità ex art. 2052 c.c. e, a maggiore ragione, ex art. 2043 c.c. a carico di Caia. Segue, come anticipato, il rigetto dell’appello proposto da Tizio.
Concludo ricordando che nel rispetto della sensibilità che ciascuno ha verso gli animali e quale che sia l’empatia che si può avere con un cane, in queste vicende si applicano (ancora) le regole degli umani che, conviene ricordare, sono state fatte dagli umani e per gli umani. Piaccia o non piaccia. Con tutte le incongruenze e contraddizioni che ne seguono. Ma anche nell’interesse e tutela di opposti interessi e diritti, sempre soggetti ad un necessario quanto difficile ma necessario bilanciamento.