February 22, 2024

VETERINARIA AGGREDITA DAL CANE CHE STAVA VISITANDO. PER IL TRIBUNALE LA COLPA E’ SOLO SUA

La sentenza è la  n. 13136/2022  del Tribunale civile di Roma.

Il fatto.

La vicenda è ricorsiva. Ricorsiva nel senso che quotidianamente il veterinario è a contato con un animale per motivi di cura. Meno ricorsivo l’epilogo, ma può accadere. Siamo in uno studio veterinario per un intervento di chirurgia oftalmica ad un cane corso. La veterinaria,  dopo che la collega anestesista aveva eseguito una puntura di sedazione preliminare alla anestesia generale, accortasi che il cane stava sbavando (il medicinale iniettato avrebbe potuto provocare vomito) avvicinatosi alla bocca dell’animale per pulirla, viene morsa al labbro inferiore.

La vicenda processuale.

La veterinaria chiede i danni al proprietario del cane ai sensi dell’art. 2052 del codice civile. Danni stimati in euro 13.553,59. Il tema centrale della vicenda è capire se il comportamento della veterinaria (avvicinatosi alla bocca dell’animale per rimuovere la bava nonostante il cane non fosse ancora del tutto sedato) possa o meno integrare il caso fortuito, quell’evento che elide il nesso di causalità tra fatto dell’animale e evento lesivo, caso fortuito che deve essere provato dal proprietario o utilizzatore  dell’animale.

La sentenza

Il Tribunale romano respinge la richiesta risarcitoria della veterinaria.La lettura della sentenza -e in particolare i capitoli di prova- non sono un valido contributo per l’intelligenza della vicenda. Si evince che l’anestesista che ha proceduto alla puntura di sedazione afferma di non essere riuscito a mettere la museruola al cane  “perchè quello non non se la faceva mettere” e che comunque “il proprietario dell’animale era vicino alla stesso durante la fase di sedazione, tenendolo al guinzaglio”. Specificando che al personale sanitario della clinica non era pervenuta alcuna raccomandazione dal proprietario del cane circa un carattere poco socievole di quello.

Il caso fortuito e il ruolo del danneggiato

Il Tribunale romano si sofferma sull’analisi del caso fortuito precisando come quanto più la situazione di possibile pericolo sia suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione di normale cautele da parte del danneggiato tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente di quest’ultimo. In questo modo quindi traslando il c.d. caso fortuito tanto più vicino alla colpa del danneggiato o del terzo, colpa alla quale sappiamo è equiparato il caso fortuito. Specifica altresì, sempre il Tribunale, che la prova liberatoria del proprietario o di chi ha la custodia dell’animale non può limitarsi alla allegazione di una imperizia del danneggiato essendo necessario che il proprietario fornisca in concreto la prova dell’interruzione del nesso di causale. Così che  la posizione di garanzia che grava sul detentore del cane vada a coprire anche i comportamenti imprudenti altrui. La colpa della vittima può al più concorrere con quella del garante  non  elidendola.

Il governo dell’animale

Personalmente vedo in questi due passaggi una contraddizione.  In buona sostanza a dire del Tribunale il cane  prima di mordere la veterinaria sarebbe stato affidato alle  cure di quest’ultima e dunque sarebbe stato compito del sanitario adottare ogni misura necessaria alla visita del cane evitando reazioni che potessero essere dettate dal dolore o effetti della sedazione e che potesserosfociare finanche nel morso. A dire del Tribunale la veterinaria durante il controllo della sedazione, con il cane senza museruola, si era avvicinata allo stesso senza adottare alcuna cautela. Dunque il cane al momento dell’azione causativa del danno era fuori dal controllo del suo proprietario e affidato alla dottoressa che deve imputare (solo) alla sua imprudenza l’evento lesivo. Si dimentica però, a parere di chi scrive, che comunque “il proprietario dell’animale era vicino alla stesso durante la fase di sedazione, tenendolo al guinzaglio”. Che la museruola era di difficile applicazione e non è dato sapere se avessi o meno reso l’animale più nervoso o interagito come le manovre dei sanitari. Mi chiedo in quale modo possa essere venuto meno quel potere di governo o controllo del proprietario nella vicenda in esame dal momento che il cane era da quello tenuto al guinzaglio.

Prescindendo dall’esito del giudizio in commento, che verosimilmente vedrà un prosieguo in appello, è interessante sottolineare un aspetto importante che è quello del concetto di trasferimento di responsabilità da chi è proprietario o chi ne ha l’uso, che è cosa diversa dalla custodia. E infatti l’alternativa del 2052 c.c è tra proprietario e chi ne ha l’uso, anzi, dice la norma, chi se ne serve per il tempo in cui lo ha in uso, e responsabile  dei danni cagionati dall'animale, sia che fosse sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito, salvo che provi il caso fortuito. Una norma che ha le sue origini nel passato, quando il rapporto uomo animale era altra cosa rispetto ad oggi. La norma, espressione di una visione antropocentrica, è eredità di un mondo antico dove l’animale  era  inteso quale “bene” in grado di attribuire un’utilità economica al soggetto che lo utilizzava e, poiché spesso  potenzialmente pericoloso, quel soggetto era chiamato -proprio -perchè lo sfruttava economicamente, a rispondere per i danni da esso animale cagionati.

Il fondamento della responsabilità ex art. 2052 cc

Ritengo, ma la mia non è una interpretazione pacifica, che il fondamento della responsabilità di cui all’art. 2052 cc vada individuata proprio nella utilità che possa derivare al suo utilizzatore laddove però si intenda l’utilità non come qualsiasi vantaggio (altrimenti lo sarebbe il compenso professionale del veterinario) ma come sfruttamento dell’animale inerente alla natura della destinazione dell’animale (lo scopo che totale animale è idoneo a soddisfare). E’ evidente che oggi l’utilità del proprietario è quel rapporto di affezione finanche riconducibile all’art. 2 della Costituzione.Tornando al caso in esame la veterinaria rimarrebbe  terza danneggiata.  Si potrebbe ragionare su un concorso di colpa in capo a quest’ultima che potrebbe diminuire il quantum del risarcimento a quella dovuta. Il Tribunale ha inteso interpretare quell’eventuale, ma non accertato, concorso come caso fortuito. Ulteriore conferma, questa sentenza, di quanto l’articolo 2052 c.c. sia una norma apparentemente semplice nella sua formulazione ma che nasconde invece non poche insidie interpretative.